«L’economia provinciale si basava ancora prevalentemente sull’attività agricola e forestale, che assorbiva, secondo i dati del censimento del 1951, il 40,07% della forza lavoro. Si trattava di una percentuale ben inferiore al 55,07% dell’anteguerra, ma era pur sempre tale da caratterizzare il settore primario come il più importante nella vita economica del Trentino. L’industria occupava il 32,77% dei lavoratori e l’attività terziaria, cioè il commercio, i trasporti e i servizi, il 27,16%.»

La disoccupazione è una caratteristica endemica del Trentino, il sistema economico infatti non riesce ad assorbire tutta la forza lavoro disponibile, soprattutto nei mesi invernali, quando i lavori nell’edilizia devono interrompersi a causa delle condizioni atmosferiche:

«Alla fine del 1946 si calcolavano circa 20.000 disoccupati [su una popolazione di 394.704 abitanti], che diminuirono negli anni successivi grazie all’inizio dei lavori per la ricostruzione dei vani danneggiati dalla guerra e per l’avvio di lavori idroelettrici. Tra la fine degli anni quaranta e l’inizio dei cinquanta, il numero medio di disoccupati si era stabilizzato sui 15/16.000, più della metà dei quali provenienti dal settore edilizio e dalla manovalanza generica.

Cembra - Riposo in campagna - Foto Archivio fotografico PAT

 

L’Agricoltura, il settore più consistente dal punto di vista dell’occupazione, era segnata da notevoli limiti dovuti all’eccessivo frazionamento della terra, che comportava conseguentemente anche la scarsa meccanizzazione del lavoro, così che la partecipazione del settore primario alla composizione del reddito provinciale era solo del 29,1% a fronte del 56% dell’industria. Tutti questi elementi, insieme alla scarsa specializzazione delle colture, si aggiungono alle difficoltà del contadino a vivere del lavoro della sua terra e determinano un veloce processo di abbandono della campagna: tra il censimento del 1936 e quello del 1951 gli addetti al settore primario diminuiscono del 15%, mentre nel resto d’Italia la diminuzione è del 7,2%. Anche dal punto di vista dello sviluppo industriale il Trentino mostra una grave arretratezza, dovuta alla politica fascista che aveva puntato prima di tutto sull’industrializzazione di Bolzano e, attraverso l’installazione di grandi imprese, ad attirare manodopera di lingua italiana per rovesciare il rapporto etnico tra i due gruppi linguistici. Così Trento era stata trascurata: nonostante l’arrivo in provincia di filiali di grandi industrie quali la Michelin, la Pirelli o la Montecatini, esse non assunsero mai un’importanza determinante per il decollo industriale della provincia e arrivarono ad occupare, nel complesso, una quantità limitata di mandopera

 

 

Campagne terrazzate in Bassa Val di Cembra anni ‘60 - Archivio Fotografico PAT