Nel 1951 con il 1°gruppo di emigranti trentini verso il Cile ben 63 provenivano dalla valle di Cembra, mentre nel 1952 furono una trentina.

Il gruppo di Giovanella Mario da Cembra era composto da 9 persone: 3 della famiglia Giovanella e 6 facenti parte della famiglia aggregata di Carlo Zanol.

 

 

estratto dall'elenco imbarco Aprile 1951 –Destinazione "La Serena I^" -foto Giorgio Erler-

I Giovanella sono rientrati in Italia ad inizio anni '70. Marco Giovanella, nipote di Mario Giovanella e Nones Rita, si è laureato all'Università di Padova nell'anno accademico 2006/2007 con una tesi dal titolo: "DAL TRENTINO AL CILE. UN'ESPERIENZA DI COLONIZZAZIONE AGRICOLA NEI PRIMI ANNI CINQUANTA." Il prof. Giovanella ci ha concesso di pubblicare alcuni estratti della sua tesi di Laurea, in particolare l' intervista a RITA NONES, la nonna.

DOMANDA: Signora Rita, dove abitava e che lavoro svolgevate Lei e suo marito prima della partenza per il Cile?

RISPOSTA: Abitavo a Cembra [ in provincia di Trento], sono venuta fuori dalla guerra, ero giovane. Io e Mario [il marito] eravamo dei lavoratori, lavoravamo la campagna e non avevamo niente, mio marito era stato in Svizzera per lavorare.

D: A che età Lei e suo marito siete partiti per il Cile?

R: Io avevo ventuno anni e lui trentatrè. Io ero incinta di tuo papà [ mio padre Carlo Alberto]. Non andavo volentieri in Cile, ero incinta.

D: Chi vi ha informato dell’esistenza del Progetto di colonizzazione di La Serena?

R: Non so chi ha detto a Mario dell’emigrazione.

D: Quali requisiti erano necessari per essere selezionati tra le famiglie dirette in Cile?

R: Eravamo in tre famiglie perché nei requisiti servivano tre persone che lavoravano, quindi il nucleo era composto da nove persone. Servivano tante persone per lavorare la terra altrimenti non ti prendevano. Da soli non si poteva andare.

D: Ha firmato qualche contratto?

R: Mi ricordo che il nonno [il marito, Mario, mio nonno] aveva firmato, poi ci hanno mandato a Trento a fare i raggi per vedere se eravamo sani, altrimenti non partivi.

D: Quando si è imbarcata sulla nave che sensazioni ha provato?

R: Mi ricordo, sulla nave, quando ho guardato il porto ho pensato: Oh mio Dio dove ci portano? Non sapevamo la lingua. La preoccupazione di andare. Non sono andata volentieri. Quando ci siamo imbarcati a Genova e hanno tolto l’ancora, mi ricordo che mi sono presa ad una colonna e mi sono messa a piangere disperata. Pensavo: adesso è finita. Pensavo di non tornare più.

D: Si ricorda se sulla nave le autorità competenti facevano delle promesse riguardo alla situazione che avrebbe trovato in Cile?

R: Ah, tante cose ci hanno promesso [...]. Sulla nave ci raccontavano che le case non erano ancora state fatte.

D: Si ricorda com’era la vita sulla nave?

R: Sulla nave eravamo nelle stive, uomini da una parte e donne con i bambini dall’altra. C’erano letti a castello per dormire. Il viaggio è stato terribile. Il mangiare era normale, c’era la mensa, ma essere giù nella stiva era un disastro.

D: Il viaggio lo ha pagato o i soldi li ha anticipati la provincia?

R: Il viaggio lo abbiamo pagato noi.

  

I biglietti d'imbarco di Mario Giovanella e Rita Nones – foto Marco Giovanella

D: Si ricorda quando è sbarcata in Cile e chi è venuto ad accogliervi?

R: Mi ricordo che ha Coquimbo sono venuti a prenderci con le barche perché la nave non fermava vicina al porto ma un po’ lontana da riva. Erano i padri barnabiti che cantavano canzoni. Poi sono venuti i camion dell’esercito che ci hanno portato ognuno nelle proprie parcelle.

D: Come si presentava la casa quando siete arrivati a La Serena?

R: Era grezza, mi sono malata in quella casa, subito. C’erano due piani nella casa, c’erano camere, era grigia, acqua non ce n’era, bevevamo l’acqua del pozzo, per lavare andavamo all’acqua del canale, che è l’acqua che arriva dalle Ande. La casa poi l’abbiamo pagata tutta. E’ stato tutto pagato, non ci hanno dato niente di regalo. C’erano solo le reti. Siamo tornati in Italia che c’erano solo le reti. Per far da mangiare c’era il petrolio. Era un disastro perché eravamo in tanti. Non c’era neanche il bagno, né doccia né niente, ci lavavamo nel brenton [forma dialettale che significa: grande bacinella]. Scaldavamo l’acqua. La sera ci hanno portato da mangiare. La casa l’abbiamo venduta ma non abbiamo preso niente.

D: Avevate la luce?

R: La luce invece è arrivata nel 1957. Prima usavamo candele, carburo e petrolio.

D: Vivevate da soli o con più persone?

R: Abitavamo nella medesima casa. Eravamo 3 famiglie. Dal 1958 la terra ha cominciato a rendere, poi è stata fatta su la casa per la gente che viveva con noi, perché eravamo in troppi. In tre capi famiglia, hanno fatto il calcolo totale di tutto quello che c’era e abbiamo tirato le brusche [scelta dei bastoncini di diversa lunghezza]per chi toccava. Così anche per le bestie, una spartizione. Io sono rimasta in casa vecchia e l’abbiamo rifatta. Siam stati dieci anni insieme. Avevo giá sei figli. E sei loro. Non ci si stava più. Letti da qualsiasi parte. E’ stato un gran sacrificio.

D: Come si presentò la terra al momento del vostro arrivo?

R: La terra era tutta incolta. Attrezzi non ne avevamo. C’erano parcelle verso La Serena che hanno potuto seminare subito, ma le nostre erano piene di sabbia. Noi abitavamo vicino al mare e quando il mare saliva si salava tutto e si bruciava tutto. E poi quest’acqua filtrava dalla sabbia e andava nel pozzo, domandeghe a to papa [forma dia- lettale che significa: domanda a tuo papà]. E tirarla su con le braccia, e su e giù. Abbiamo comprato noi le vacche e con quelle siamo andati avanti. E’ andato via tanto tempo prima che si cominciasse a seminare. Lavoravamo, per fortuna hanno seminato l’erba spagna per le vacche.

La maggior parte dei terreni consegnati inizialmente ai coloni si presentavano così: incolti e pieni di erbacce - Foto Marco Giovanella

D: Quale lavori svolgevate in Cile?

R: Vendevamo il latte, io andavo nei collegi a portare il latte, il nonno lavorava la terra. Poi facevo la spesa. Noi vivevamo della vendita del latte, l’unica cosa con la quale si andava avanti e si viveva, come se podeva [forma dialettale che significa: come si poteva]. Lo portavamo nei collegi.

D: Veniva qualche autorità cilena o qualche autorità trentina a constatare le vostre condizioni di vita a La Serena?

R: Era venuta la Perazzoli [l’assistente sociale trentina] e medici non ne ho mai visti. Doveva esserci una persona che veniva a visitare, per dire come stavamo ma niente Andavano a controllare dove stavano bene, non andavano a controllare la povera gente, quando venivano via quelli della provincia andavano a vedere solo quelli che stavano bene. Mi ricordo che da noi è venuta poca gente a vedere come stavamo. Dicevano che in Cile stavamo bene e c’era chi stava bene.

D: Che cosa si ricorda della colonizzazione del 1952?

R: Nella seconda colonizzazione la gente se ne andava in Brasile, si sono dispersi, sono tornati in Italia. Noi siamo rimasti li. Perché almeno avevamo vicine le due città quindi riuscivi a vendere la verdura. Loro erano lontani dalla città. A quelli che sono venuti dopo gli hanno pagato il viaggio. Quelli di S. Ramón.

D: Si ricorda le condizioni delle parcelle di S. Ramón?

R: Sia a S. Ramón che a La Serena c’erano parcelle buone e parcelle cattive. Li avevano messi dove c’era la sabbia e non coltivavano. Stavano meglio quelli con la casa lontana dal mare. Ma con la sabbia cosa vuoi che venga, non c’era grassa, non c’erano soldi.

D: In quali occasioni vi incontravate con le famiglie emigrate nel 1952?

R: Ci vedevamo dopo, ci si radunava, con i preti.

D: Ora, dopo cinquant’anni dal vostro insediamento in Cile, che cosa pensa? E’ stata un’esperienza positiva o negativa?

R: Stavamo meglio in Trentino i primi anni. Almeno in Trentino c’era la luce e c’era l’acqua calda. E’ stato un disastro. Scommetto che se ci fosse stata la strada, più di una persona sarebbe ritornata in Trentino a piedi. Eravamo giovani, abbiamo potuto affrontare. Dopo quando le cose sono andate un po’ meglio stavamo bene, ma che lavorare.
La gente ci voleva bene, non c’è niente da dire. E’ stata un’esperienza. Comprendi tante cose. C’è chi si lamenta, ma la miseria vera è altra.
Stavamo meglio in Trentino. La gente qui aveva qualcosa e lá non avevamo niente. Non hanno mantenuto le promesse. Ci hanno messo in crisi.
Siamo andati via con l’idea di trovare [...] e c’è stato un momento in cui Mario mi fa, qua non si può più andare avanti così, andiamo in Australia. Lo dicevano quasi tutti, perché proprio non si poteva andare avanti.
Ma sacrifici tanti, scarpe non ce n’erano, sempre scalzi. Non c’erano soldi. I primi anni furono solo un sacrificio, mi ricordo il Mario che diceva che così non si poteva andare avanti, non si poteva neanche comprare il vino.

D: Dopo quanti anni Lei e la sua famiglia avete fatto ritorno in Italia?

R: Sono stata via 15 anni e poi sono tornata da sola nel '66 a trovare la mia famiglia e dopo sono ritornata. Siamo tornati nell’ottobre del ‘72 prima del colpo di stato, c’era il comunismo. C’era una chiacchiera che diceva che quelli nati in Cile non potevano andare via. Appena l’abbiamo sentita siamo tornati. C’era l’inflazione. Tre milioni valevano un dollaro, c’era troppa inflazione.

D: La casa l’avete venduta o è ancora vostra?

R: Non ti lasciavano il permesso per tornare in Italia se non avevi venduto la casa. Ma nessuno voleva comprarla quindi è stata venduta ad un prezzo spicciolo. Con i soldi della casa avremmo potuto vivere per mesi e mesi qui in Trentino.

La Casa di Mario Giovanella e Rita Nones venduta al rimpatrio - foto Marco Giovanella

Trascrizione dell’intervista alla signora Rita Nones, realizzata da Marco Giovanella in data 16 gennaio 2007