I primi 50 anni del XX secolo sono costellati di drammatici avvenimenti che hanno forgiato con sacrifici, fatiche e privazioni la tempra di quei uomini e donne decise al cambiamento radicale dell’emigrazione per se e per le loro giovani e numerose famiglie perché la storia li aveva messi al muro, senza alternative, senza prospettive di un futuro possibile nei paesi dove sono nati e cresciuti.
I genitori delle famiglie partite per il Cile sono nati nel primo ventennio del secolo, si sono sposati nel secondo ventennio e fatto figli a partire dal 1930, all’incirca. In cinquant’anni hanno visto la prima guerra mondiale, la tragica fine di un impero che aveva richiesto la vita di padri e nonni, la fame patita perché le campagne erano prive degli uomini chiamati alla guerra, la pace costruita con il passaggio dall’Austria all’Italia che per anni li ha tacciati come vinti, tenendoli ai margini della ripresa post-bellica in una carenza endemica di posti lavoro e opportunità di riscatto dalla miseria. E poi il fascismo, vent’anni di prepotenze e boriose promesse, servizi dovuti alla patria per anni, chiamate alle armi per le guerre di Spagna e d’Africa per poi risprofondare nel tragico baratro della seconda guerra mondiale con campagne disastrose nei Balcani, in Russia, con bombardamenti sempre più vicini, fughe precipitose di donne e bambini nell’umidità e nel buio dei rifugi antiaereo scavati alla bella e meglio. E poi “el rebalton” dell’8 settembre 43: l’Italia che si squaglia col suo reuccio in fuga da Roma e da un onore che non ha mai avuto. Poi i tedeschi a seminare terrore nei paesi e i partigiani a stuzzicarne la ferocia cresciuta con l’avvicinarsi della sconfitta. E l’incubo quotidiano del “Pippo” che con voli radenti sopra i tetti costringeva la gente a rinchiudersi in casa e spegnere luci e candele per non attirare gli aerei dei bombardieri americani accaniti contro il ponte dei Vodi di Lavis.
Bombardamento sul Ponte dei Vodi (fonte: Laboratorio Storia Rovereto)
Foto di Quinto Rossi del gruppo di difesa contraerea Flak a Bolzano
Ed infine una nuova pace fatta di nuove fatiche per ricostruirsi una vita, per dar un tozzo di pane a schiere di bambini che la vigoria dell’età ha consentito loro di mettere al mondo nonostante la guerra, nonostante le fatiche, nonostante l’intermittenza dei richiami della patria e del lavoro lontano. Un anno dopo la fine della guerra il referendum accende e divide gli animi degli italiani per cacciare definitivamente una monarchia che aveva ridicolizzato l’ Italia. Per rimetterla in sesto dai disastri del regime fascista, per un po’ le rinate forze della democrazia riescono a sedersi unite attorno ad un tavolo fino alla scrittura della Costituzione che ne garantisca e qualifichi la vita, lo stato democratico. Scritte ed accettate le regole, via libera alle divisioni, ci si infervora e schiera su fronti opposti per decidere chi può e deve comandare. Il mondo, dopo aver sepolto nel bunker di Berlino la spietata ferocia nazista di Hitler e del suo Reich, si divide in due blocchi e gli idealismi con loro: americani e russi, liberismo e comunismo, ex fascisti e partigiani, popolari e socialisti, i pulpiti delle chiese e le piazze rosse del “sol dell’avvenir” . Le cronache si colorano di ammazzamenti di vario colore: un attentato a Togliatti porta l’Italia sull’orlo della guerra civile scongiurata dalla telefonata di Degasperi a Bartali perché vincesse il Tour di Francia per placare e riunire gli animi degli italiani sotto una nuova vittoria, anche se solo ciclistica.
Cartolina elettorale consegnata in occasione delle elezioni politiche di inizio anni 50 assieme alle scarpe al calzolaio di Cembra:
“Caro Renzo ti prego aggiustami subito queste scarpe come d’accordo, sono qui scalza, e domani le adopero per andare a votare. Ti ringrazio caldamente Dolores. Mettici qualche brocca.
Collezione Bruno Delladio
Passano i mesi, gli anni, ma lavoro ancora non se ne vede, crescono le bocche da sfamare, le tensioni nel mondo richiamano segnali di guerra. La chiamano fredda, ma nel 1950 si scalda pericolosamente con la guerra in Corea che rimette il mondo su un nuovo baratro di guerra totale.
Chi ha già fatto la guerra, chi ne ha vissuto le tremende quotidiane privazioni, chi non trova lavoro, chi ha i figli in età per esser richiamati alla guerra, cerca una via per allontanarsi da quel nuovo abisso: l’emigrazione è uno spauracchio minore e diventa una via d’uscita, una liberazione da un mondo permanentemente sull’orlo della guerra.