- atto di nascita dell’avo emigrato, su modello internazionale;
- estratti degli atti di nascita dei discendenti in linea retta, con indicazione dei dati della madre e del padre e dei figli del/la dichiarante, se minori e con lui/lei residenti.
Dalla documentazione doveva risultare che l’avo era emigrato dai territori indicati nel periodo in cui fecero parte dell’Impero Austro-Ungarico, fra il 25 dicembre 1867 (data della costituzione dell’Impero Austro-Ungarico con la riforma costituzionale denominata Ausgleich) e il 16 luglio 1920 (data di entrata in vigore del trattato di Saint-Germain del 10 settembre 1919 in cui i territori suddetti furono ceduti all’Italia).
In alcuni casi, l’emigrazione in quel periodo risulta sufficientemente documentata dai certificati di nascita, di matrimonio o morte. Ad esempio, un certificato di nascita dimostra che l’avo è nato nei territori indicati dopo il 1867 e vi è un atto di matrimonio o di nascita di un figlio avvenuti prima del 1920 nello stato in cui è emigrato. Al di fuori di questi casi, era necessario presentare ulteriori documenti, quali, ad esempio:
- passaporto o lasciapassare, documentazione attestante il trasferimento o i mantenimento all’estero della residenza nel periodo indicato,
- certificati o altri documenti dello sbarco nel paese di immigrazione,
- documenti ufficiali o fonti bibliografiche dell’emigrazione, assegnazione di lotti di terreno nel paese di emigrazione, etc…
Con la documentazione finora descritta, l’interessato documentava di avere diritto alla cittadinanza italiana secondo quanto richiesto dalla legge n. 379/2000 (discendenza da avo originario dai territori indicati).
Peraltro, la Commissione interministeriale competente per la trattazione delle dichiarazioni di cittadinanza in base alla legge n. 379/2000 ritiene importante che sussistano ulteriori requisiti per poter riconoscere la cittadinanza italiana: la sussistenza di legami culturali e sociali con l’Italia e la non rinuncia alla cittadinanza italiana da parte dell’avo emigrato (pur non essendo mai stato cittadino italiano).
Richiedevano, quindi, ulteriori documenti:
- attestazione rilasciata da Circoli, Associazioni, Comunità di italiani presenti nel luogo (estero) di residenza contenente elementi idonei ad evidenziare l’italianità dell’interessato quali i seguenti:
- livello di notorietà dell’appartenenza al gruppo etnico-linguistico italiano da parte dell’interessato e dei suoi ascendenti;
- dichiarazione di appartenenza nazionale;
- data di iscrizione all’organismo che rilascia l’attestazione;
- ogni altra utile documentazione comprovante l’appartenenza al gruppo etnico – linguistico italiano (ad es. copie autenticate di attestati di frequenza di scuole di lingua italiana o pagelle scolastiche, corrispondenza familiare, ecc.),
- un certificato dell’autorità competente del luogo di emigrazione dell’avo dalla quale risulti che non ha mai acquistato la cittadinanza di quello stato,
- certificazione del possesso della cittadinanza straniera (rilasciata, Italia, dalla rappresentanza diplomatica o consolare dello Stato a cui il dichiarante appartiene).
Poiché, al termine del procedimento, dovranno essere iscritti nei registri dello stato civile anche gli atti di eventuale matrimonio e morte dell’avo e dei discendenti, alcuni uffici chiedevano fin dall’inizio del procedimento anche la presentazione di questi documenti. Si ricorda che gli atti di matrimonio delle persone vive, poiché certificano una situazione che può cambiare, hanno durata di sei mesi dal momento in cui sono rilasciati.
Legalizzazione e traduzione
I documenti e gli atti dello stato civile (nascita, matrimonio, morte) formati all'estero da autorità straniere devono essere legalizzati dal Consolato Italiano competente per il territorio in cui si trova l’ufficio che li ha emessi.
Riferimento normativo: articolo 21, comma 3 del Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello Stato Civile, decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000 n. 396.
Questa regola non vale per alcuni stati che hanno sottoscritto una convenzione internazionale, la Convenzione dell’Aia del 5 ottobre 1961 relativa all’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri, che prevede che non sia necessario procedere alla legalizzazione dei certificati presso le autorità consolari. In questi casi, la legalizzazione consolare è sostituita dalla cosiddetta postilla.
La postilla è una nota che deve essere fatta sull’originale del certificato rilasciato dalle autorità dello Stato che ha emesso l’atto, da parte di una autorità identificata dalla legge di ratifica del Trattato stesso (ad esempio, in alcuni stati è un ufficio presso il Ministero degli Affari Esteri, in altri il Ministero dell’Interno). La postilla sostituisce la legalizzazione presso i consolati italiani.
I documenti scritti in lingua diversa da quella italiana devono essere accompagnati da una traduzione in lingua italiana. La traduzione valida deve essere fatta in una delle seguenti forme:
- traduzione fatta da un traduttore riconosciuto dal Consolato Italiano competente per il territorio da cui l’atto proviene e certificata dal Consolato stesso; OPPURE
- la traduzione può essere eseguita in Italia da chiunque sia in grado di farla. Il traduttore presenta personalmente al Comune italiano competente a ricevere la domanda di cittadinanza e presta giuramento affermando che la traduzione è conforme all’originale, oppure presta giuramento presso un tribunale civile italiano.